Dividendi record il 24 novembre: UniCredit e Intesa staccano cedole per 8 miliardi di euro

Dividendi record il 24 novembre: UniCredit e Intesa staccano cedole per 8 miliardi di euro
Mirko Bellini 25 nov 2025 0 Commenti

Il 24 novembre 2025 sarà una giornata da record per gli investitori italiani: UniCredit, Intesa Sanpaolo e altre aziende del FTSE MIB staccheranno le cedole dei dividendi per un totale di circa 8 miliardi di euro. È una delle distribuzioni più consistenti dell’anno, e arriva in un momento in cui gli investitori cercano rendimenti sicuri in un mercato ancora incerto. La data di registrazione è il 25 novembre, ma chi vuole ricevere il dividendo deve aver comprato le azioni entro venerdì 21 novembre: acquistare il giorno dello stacco non basta. Ecco perché molti trader hanno già agito in anticipo.

UniCredit: la banca più generosa d’Europa

UniCredit ha deciso di distribuire un acconto di 1,4282 euro per azione, per un totale di 2.171.674.000 euro. L’Amministratore Delegato Andrea Orcel ha guidato una strategia di remunerazione che ha reso la banca una delle più generose in Europa. Il rendimento sul prezzo di chiusura del 21 novembre (5,616 euro) è del 3,31%. Ma il vero obiettivo è più ambizioso: per il 2025, UniCredit mira a distribuire almeno 9,5 miliardi di euro in totale, di cui almeno 4,75 miliardi in contanti. Questo acconto rappresenta il 45% della quota in contanti prevista per l’anno. È un segnale chiaro: la banca ha fiducia nei suoi bilanci e vuole premiare chi ha creduto in lei. Ricordiamo che nel 2024, UniCredit ha distribuito 9 miliardi di euro complessivi, con 3,73 miliardi in contanti e 5,27 miliardi in riacquisti di azioni.

Intesa Sanpaolo, Mediobanca e le altre

Anche Intesa Sanpaolo partecipa alla festa: 0,186 euro per azione, un acconto che si somma a quanto già distribuito. Il rendimento è modesto, ma il contesto conta: in un mercato dove le banche italiane hanno rafforzato i propri fondi propri, ogni euro restituito agli azionisti è un segnale di salute. Mediobanca, dopo la fusione con Monte dei Paschi di Siena, ha deciso di distribuire 0,59 euro per azione, portando il totale annuo a 1,15 euro — un rendimento del 3,34%. È un risultato notevole, considerato che solo un anno fa la banca era in fase di ristrutturazione.

Non da meno Banca Ifis, che paga 0,31 euro per azione ordinaria e 0,70 euro per quella di risparmio, con rendimenti rispettivamente dello 0,65% e dell’1%. Danieli e Mondadori chiudono il quadro con pagamenti simbolici ma significativi: 0,07 euro per azione per il gruppo editoriale, che porta il rendimento al 3,4%. Poste Italiane invece distribuisce un dividendo straordinario di 0,2147 euro per azione, un gesto che sorprende in un momento in cui la società è impegnata nella transizione digitale.

Perché il mercato scende prima del dividendo?

Curiosamente, il giorno dello stacco ha visto un calo generalizzato: Intesa Sanpaolo è scesa del 3,10%, Mediobanca del 4,16%, UniCredit del 2,24%. Perché? Perché il prezzo dell’azione si aggiusta per riflettere la perdita del diritto al dividendo. È un meccanismo automatico, ma spesso genera panico tra i piccoli investitori. In realtà, chi ha comprato prima del 21 novembre non ha perso nulla: ha semplicemente scambiato un diritto futuro (il dividendo) con un prezzo leggermente più basso. È come se avesse incassato in anticipo.

Cosa cambia per gli investitori?

Se sei un investitore retail, questo è il momento di controllare il tuo portafoglio. Hai le azioni di queste società? Se sì, il 26 novembre troverai l’importo sul tuo conto corrente, attraverso Monte Titoli. Se non le hai, non puoi più acquistarle oggi e aspettare il dividendo: il treno è partito. E se hai azioni in sospeso, attento: quelle riacquistate da UniCredit dopo il 20 ottobre 2025 non avranno diritto al dividendo — saranno invece cancellate dalla distribuzione e destinate a riserva statutaria. Un dettaglio tecnico, ma cruciale per chi gestisce portafogli dinamici.

Il contesto: un’Italia che torna a pagare

Negli ultimi anni, le banche italiane hanno prioritizzato il rafforzamento patrimoniale. Ora, con i bilanci più solidi e i tassi di interesse in calo, la logica è cambiata: restituire denaro agli azionisti diventa più attraente che accumularlo. È un segnale di maturità. E non è un caso che proprio le banche, spesso criticate per la loro lentezza, siano ora i principali protagonisti di questa ondata di dividendi. È una svolta culturale: da istituzioni che nascondono i profitti, a imprese che li condividono.

Cosa succede dopo?

Il 26 novembre sarà il giorno del pagamento effettivo. Ma il vero test arriverà a marzo 2026, quando UniCredit e Intesa presenteranno i risultati del primo trimestre. Se i profitti rimarranno stabili, potremmo vedere un’altra distribuzione straordinaria a giugno. Alcuni analisti ipotizzano che, se l’inflazione continuerà a scendere, le banche potrebbero aumentare ulteriormente il dividendo per il 2026. Per ora, però, il 24 novembre resta una data da segnare in rosso sul calendario: non solo per il denaro che arriva, ma perché rappresenta un segnale di fiducia — da parte delle aziende, verso chi ha creduto in loro.

Frequently Asked Questions

Chi ha diritto al dividendo di UniCredit del 24 novembre 2025?

Hanno diritto al dividendo tutti gli azionisti che possiedono le azioni UniCredit entro la chiusura di mercato di venerdì 21 novembre 2025. La data di registrazione è il 25 novembre, ma l’acquisto il 22 o 23 novembre non dà diritto al dividendo, perché il sistema di清算 (clearing) richiede tre giorni lavorativi per registrare il trasferimento. Chi compra il giorno dello stacco non riceve nulla.

Perché UniCredit distribuisce così tanto rispetto alle altre banche?

UniCredit ha una strategia di remunerazione unica in Europa: combina dividendi in contanti e riacquisti di azioni. Per il 2025, ha fissato un obiettivo minimo di 9,5 miliardi di euro complessivi, di cui almeno 4,75 miliardi in contanti — il 45% del totale. Questo approccio, guidato da Andrea Orcel, mira a massimizzare il ritorno per gli azionisti senza indebolire il capitale. È una politica che ha già dato risultati nel 2024, con 9 miliardi distribuiti.

Cosa succede alle azioni dopo lo stacco della cedola?

Il prezzo dell’azione scende di un importo pari al dividendo distribuito, perché il diritto al dividendo non è più incluso nel valore dell’azione. Questo è un meccanismo standard in tutti i mercati finanziari. Non è una perdita: è un trasferimento di valore. Chi ha acquistato prima dello stacco ha già ricevuto il dividendo, che compensa la caduta del prezzo. Chi compra dopo, paga un prezzo più basso ma non riceve nulla.

Perché Intesa Sanpaolo ha un dividendo così basso?

Intesa Sanpaolo ha scelto di distribuire un acconto più contenuto per preservare flessibilità finanziaria. Con un totale annuo previsto di circa 2,8 miliardi di euro in dividendi, la banca sta bilanciando la remunerazione con investimenti in digitalizzazione e filiali. Il 0,186 euro per azione è solo la prima tranche: la seconda arriverà a marzo 2026, in base ai risultati del primo semestre. È una strategia prudente, ma non meno generosa nel lungo termine.

I dividendi sono tassati? Come funziona?

Sì, i dividendi in Italia sono soggetti a una ritenuta d’acconto del 26%. Questa viene trattenuta automaticamente dall’intermediario finanziario (es. Monte Titoli) al momento dell’accredito. Non serve dichiararli separatamente se sei un privato, perché la tassa è già pagata. Per gli investitori con redditi superiori a 55.000 euro, potrebbe essere necessario integrare l’imposta nel modello Unico, ma la ritenuta è sempre considerata come acconto.

C’è un rischio che le banche riducano i dividendi nel 2026?

Il rischio esiste, ma è basso. Le banche italiane hanno aumentato i propri fondi propri e i livelli di capitale sono ora ben oltre i requisiti europei. Inoltre, la BCE ha segnalato che le politiche di remunerazione sono sostenibili. Un calo dei dividendi sarebbe possibile solo in caso di crisi sistemica o di nuove normative. Per ora, l’orientamento è chiaro: le banche vogliono essere viste come partner affidabili per gli azionisti, non come istituzioni che nascondono profitti.